sabato 19 ottobre 2013

Ipocrisia da perdono

Kiave di lettura n° 53

Oggi la Kiave di lettura è semplice, quasi "banale" ma come spesso accade nella vita riguarda un argomento che tutto ha meno che i requisiti della banalità.
Nei giorni scorsi infatti è morto Erich Priebke, alla invidiabile età di 100 anni ed è l'unica cosa che una persona come lui ha avuto nella sua vita di invidiabile. Ovviamente non ci siamo fatti mancare il dibattito dopo la sua morte. Perdono, non perdono, funerali, non funerali, prefetti e non prefetti. Il prefetto infatti ha dato il permesso alle esequie scatenando reazioni di ogni genere ed ovviamente anche la presa di distanza del Ministro dell'Interno del governo Letta che come al solito si è dichiarato non al corrente di vicende che a lui competerebbero per ruolo e responsabilità. A cose normali un Ministro che non sa gestire le attività di sua competenza (caso Shalabayeva prima, prefetto adesso per citarne due) si dimetterebbe o verrebbe invitato a farlo da parte del resto della maggioranza, specie da parte politiche in teoria diverse. Ma le cose già lo sappiamo che in Italia non sono normali.
Il cosiddetto caso Priebke è quindi un caso che non poteva che nascere qui. Con topi di fogna che si sono immediatamente susseguiti per le condoglianze di un assassino e la corsa di quelli dal cuore cristiano devoto al perdono. Esattamente non capisco dove possa essere il perdono per un personaggio che non ha mai chiesto scusa, che ha ucciso e lasciato uccidere, che è stato protagonista ignobile della peggiore schifezza del secolo scorso. E non capisco nemmeno come si possa pensare di far celebrare le esequie a livello di prefetto e prefettura. Ma sarò io evidentemente a non essere abbastanza "sveglio" e soprattutto cristiano.Non si può avere tutto.
Di tutta questa "MERDA INTORNO" alla notizia devo dire che ho trovato per fortuna anche interventi "mirati", di quelli che fanno assaporare aria fresca per fortuna. In particolare trovo perfetto un post di Andrea Scanzi su facebook di due giorni fa, mirato e sul pezzo come molto spesso gli capita. Vi lascio con le sue parole, il miglior modo per chiudere questo post.

Continuo a leggere inviti alla tolleranza e al perdono riferiti a Priebke. Li rispedisco al mittente: la morte non cancella le colpe. E neanche impone una sorta di rispetto obbligatorio. La pietas si conquista, in vita come in morte, e non ne provo alcuna per Priebke. Né da vivo e né da morto. Il nazista Erick Priebke partecipò in prima persona, il 24 marzo 1944, al massacro delle Fosse Ardeatine, annotando da freddo burocrate i nomi delle vittime (335), sparando anche lui su civili inermi e mai rinnegando quel gesto ("Eseguii gli ordini e le vittime erano tutte terroristi"). Non ha pagato le sue colpe, tra latitanze dorate in Argentina e "permessi di lavoro" nonostante l'ergastolo. Il suo non era un ruolo "minore". Era uno dei boia che svolgeva in prima persona gli interrogatori-tortura a Canton Mombello. La staffetta partigiana Agape Nulli raccontò al Corriere della Sera: «Ricordo il giorno dell'interrogatorio, Priebke entrò nella stanza puntandomi l'indice contro e mi chiese a bruciapelo "Hai letto la Bibbia?". Gli risposi di no, sapevo che era una domanda tranello per scoprire se fossi ebrea. Poi mi domandò dove si nascondevano i miei fratelli, anche loro partigiani, ma non potevo saperlo perché mi trovavo in carcere da più di un mese. Il mio incontro si chiuse lì, altri miei compagni di sventura furono assai meno fortunati: Bruno Gilardoni fu riportato in cella più morto che vivo dopo ore di interrogatorio appeso al soffitto con una fune, altri furono inviati nei campi di concentramento e lì morirono» 
Nessun crimine del Novecento è stato abnorme come il nazismo. Quell'abominio reiterato è stato la forma più gigantesca di Male sulla Terra. Una vergogna ostentata, un sadismo scellerato, una crudeltà "ideologica" terrificante. Che occorre ricordare, per non ricascarci un'altra volta.
Appartengo, orgogliosamente, a una razza (temo) in estinzione. Appartengo alla razza che ha camminato sui sentieri dei nidi di ragno di Calvino. Che ha pianto con il partigiano Johnny di Fenoglio. Che ha rivissuto la guerra civile nei saggi di Pavone. Appartengo ai partigiani che quella sera ormai lontana ad Alba, nella chiesa di San Domenico, hanno applaudito i CSI. Appartengo a quelli che rabbrividiscono di fronte ai negazionisti e si incazzano quando leggono i deliri quasi-intellettuali di un Odifreddi (mito inspiegabile e soporifero di una certa sinistra salottiera) che scrive: «Il processo (di Norimberga) è stata un'opera di propaganda». Sono uno di quelli che a Sant'Anna di Stazzema c'è stato, lì e in troppi altri luoghi, a Civitella in Val di Chiana come a Monte Sole (Marzabotto), per omaggiare le vittime dei tanti eccidi perpetrati da bestie come Priebke. E ho sognato anch'io, come Tarantino, che la fine dei nazisti coincidesse con il liberatorio grand guignol di Inglorious Bastards.
Questi equilibrismi su nazismo e pietà cristiana mi hanno rotto le palle. C'è un limite anche all'ipocrisia. Io provo pena se muore Mario Monicelli. Pena e dolore. Provo pena se muore Peppino Impastato, se muore Rosario Livatino, se muoiono Franca Rame e Don Gallo. Quando invece muore uno come Priebke, mi dispiaccio unicamente che sia accaduto soltanto nel 2013. Io non perdono a prescindere, e soprattutto non dimentico.

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